giovedì 4 febbraio 2010

Ezechiele, 25:17




Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in realtà il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te!

[Jules Winnfield - Pulp Fiction]




Strano vero? Mi ero ripromesso che avrei ricominciato a scrivere recensioni, a studiare e a cercarmi seriamente una ragazza. Penso che anche questa volta non farò nessuna delle tre cose.

mercoledì 27 gennaio 2010

Deathspell Omega - Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum [2007]

...sarò pigro o forse sono proprio apatico, ma quando devo fare qualcosa puntualmente cerco di fare tutt'altro. Dovrei scrivere qualcosa di nuovo, invece ricopio qualcosa di vecchio.























“The idea of God is pale next to that of perdition, but of this I could have no inkling in advance.”

Queste parole potrebbero bastare a riassumere il contenuto di “Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum”,l’ultima fatica dei francesi Deathspell Omega, band da sempre attorniata da un aura di mistero, che in questo disco propone il secondo capitolo della sua trilogia, il rapporto con Satana (da notare la copertina raffigurante la caduta di Lucifero).
L’ascolto di “Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum” non è un esperienza per tutti. Per riuscire ad ascoltare questo tipo di musica, bisogna prima capirla, e per farlo, bisogna avere un grado di attenzione elevato, in modo da cogliere ogni singolo suono che Hasjarl e compagni hanno composto. Perché quest’album non è semplice black metal, ma la naturale evoluzione di un capolavoro come “Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice” album di svolta nella carriera dei Deathspell Omega.
Se i lavori precedenti lasciavano la band tra una delle tante della scena, con questa svolta avanguardistica il gruppo si afferma come uno dei migliori dell’intero panorama mondiale.
La ricerca costante della disarmonia (perché questa è l’unica definizione che si potrebbe dare) tra dissonanze e cambi di tempo improvvisi, annichiliscono l’ascoltatore casuale. Solo in un ambiente chiuso o tramite cuffie si può apprezzare al meglio quest’opera intrisa dall’inizio alla fine da follia e blasfemia, con testi teologici complessi come la proposta musicale che ci viene offerta. Solo la prestazione dell’anonimo batterista basterebbe a demolire intere discografie di gruppi black metal osannati oltre il dovuto.
Descrivere ogni singolo brano di questo LP è molto arduo, poiché ad ogni ascolto si riesce a scovare qualcosa di nuovo, che ad un primo ascolto non era giunto al nostro orecchio (come ad esempio l’uso delle trombe).
La prestazione dei singoli componenti è sublime; il cantato di Mikko Aspa è aspro, alle volte anche fastidioso, ma non fa altro che dare quel tocco profano che percorre tutto il disco;le parti di chitarra ad opera di Hasjarl, danno vita a quelle dissonanze che già ho citato in precedenza che, insieme alla batteria, sono le colonne portanti di tutto il lavoro. Da elogiare anche il basso di Khaos, che non viene sopraffatto dagli altri strumenti, ma anzi, è un elemento fondamentale e ben distinguibile per tutta la durata del disco, anche se il meglio avviene durante le parti più calme, dove il suo incedere oscuro da un senso di angoscia ed oppressione impressionante.

Il disco si apre con “Obombration” che ci immerge subito in un atmosfera maligna e sacrilega alla stesso tempo, dove lo scorrere del vento viene seguito da altri rumori, finchè al minuto 1.30 non partono i riffs lenti e taglienti di Hasjarl. L’incedere cupo di questo brano è ben appoggiato dalla batteria, a tratti quasi impercettibile e dalla voce graffiante del singer dei Clandestine Blaze. Tutto ciò continua finchè non sopraggiunge il silenzio accompagnato da fievili cori gregoriani che non fanno altro che preparare l’ascoltatore alla furia di “The Shrine of Mad Laughter”; una serie infinita di blast beat vengono accompagnati da parti di chitarra distorte, questo quasi per 3 minuti, finchè la musica non si arresta per dare spazio al canto di una fanciulla e da impercettibili rumori di passi finchè quest’atmosfera onirica non viene spezzata da dei synths e dall’eco di un arpeggio in lontananza che aumenta progressivamente. E’ da qui che ripartono i blasts furiosi del batterista con un mini assolo cacofonico. Raggiunta la sua massima violenza, il brano rallenta bruscamente, intervallansi con dei piccoli cambi di tempo finchè, dopo una nuova cavalcata a tutta velocità, si ritorna verso i 7 minuti ad una parte più ragionata, molto atmosferica, spezzata da una parte dalle sonorità quasi infernali ma breve, per poi spegnersi con il respiro affannoso della fanciulla sopra menzionata.
A continuare il percorso iniziato col brano precedente ci pensa “Bread of Bitterness” dove i riffs striduli della chitarra si mettono in evidenza sulla parte ritmica. Questa traccia è a dir poco soffocante, e solo l’arrivo degli intermezzi più calmi e ragionati danno l’opportunità di riprendere fiato. Nel primo di questi intermezzi, quello che balza subito all’orecchio è la bravura del bassista, in grado di creare arpeggi opprimenti, carichi di ansia finchè la parte più selvaggia del gruppo non riprende il sopravvento fino ai 7 minuti dove la musica si arresta di colpo, per concludersi tra vari rumori.
Rumori che ci conduno a "The Repellent Scars of Abandon and Election", dall’incedere vago, dove ci si sente persi tra sogno e realtà. Questo è il brano più lungo dell’intero disco, ma forse anche il migliore. Infatti. dopo una prima parte abbastanza tranquilla, la canzone acquista velocità e potenza, che perdureranno per tutto il suo minutaggio, salvo un piccolo intermezzo di piano, che ridarà il via alla pazzia dei quattro musicisti francesi.
"A Chore for the Lost", la canzone seguente, si presenta come un inno alla perdizione; introdotta da un paio di arpeggi, e da una parte parlata del vocalist, viene rallentata improvvisamente da un piano nefasto per poi esplodere in tutta la sua potenza. Qui Hasjarl e Khaos svolgono un ottimo lavoro, il primo creando riff accattivanti e dissonanti, mentre il secondo avvolge l’intera composizione col suo basso maligno. Verso fine canzone si può udire anche il migliore assolo dell’intera opera, un misto di epicità e tecnica. E di nuovo, come ogni canzone prima delle altre, il brano si ferma prima del previsto per farci riprendere un po’ di fiato per poi ricondurci alla fine trionfale con la conclusiva “Obombration”, che tra trombe e gong conclude questo viaggio di perdizione e smarrimento che consiglio soprattutto a tutti coloro che cercano un gruppo che riesce ancora a cogliere l’essenza del black metal e a porla in musica.















Originariamente scritta per Iced Tears (che culo...).

venerdì 8 gennaio 2010

Wormrot - Abuse [2009]




















Ci sono certe volte dove uno è saturo di ascoltare sempre la solita roba. Ed altri dove non può farne a meno. Ed altri ancora dove uno riscopre la solita roba di cui tempo addietro non poteva farne a meno. Questo è il caso dei Wormrot, che in soli 21 minuti riescono con il loro cd, Abuse, a dimostrarsi come una delle migliori uscite in campo grindcore del 2009.
Niente di nuovo sul fronte occidentale? Già, da quello occidentale un benemerito cazzo, ma questi tre ragazzotti provenienti dal Singapore ricalcando la scia di gruppi più blasonati come Phobia e primi Regurgitate danno vita ad un disco piacevole e coinvolgente. Come già detto sopra, in soli 21 minuti la band ti ficca 23 scheggie dritte nel cervello, dove l'unico pensiero fisso dei vostri neuroni sarà un bel mosh-pit.
Si passa dalle sfuriate classiche grindcore - Sledgehammer - a pezzi più ragionati - Scum Infestation - per finire in altri più melodici - come il finale di Fuck... I'm Drunk - alla pura rivisitazione di pezzi altrui - Rich degli Yeah Yeah Yeahs.
Un disco che non sarà fondamentale per il genere, ma che li amanti di queste sonorità adoreranno.

"Suffering shall come from my hand I am my fucking own disaster"

Premessa o avvertenze per l'uso?

Era da un pò di tempo che avevo smesso di scrivere. Crisi mistica, mancanza di tempo/voglia o semplicemente non avevo stimoli su cui dare un parere.
Sarà quel che sarà, ma l'ultima cosa che avevo scritto - recensione per Evangelion dei Behemoth in data 19 Agosto 2009 - non mi aveva lasciato soddisfato, anzi, tutt'altro, ero rimasto con l'amaro in bocca. Vuoi per problemi miei, vuoi perchè una band che avevo sempre supportato se ne esce con 'sto dischetto senza infamia nè lode, fatto sta che tutti questi fattori insieme hanno dato come risultato il mio totale disinteresse dallo scrivere qualcosa sui cd che ascoltavo, una delle poche cose dove alla fine sono sempre riuscito ad esprimermi al meglio.
Fatto sta che dopo questo periodo sabbattico, mi è tornata voglia di scrivere. Pareri sui cd che ascolto, niente di serio, praticamente recensioni e/o consigli alla gente, chiunque sia lo sfortunato che se le leggerà.
Mi ricopierò anche quelle che scrissi tempo addietro quando ancora piccolo metallino in piena tempesta ormonale elogiava cd di band - anche di merda - a destra e a sinistra. Per questo ringrazio sia Iced Tears (brutta fine quel sito) e sia Aristocrazia.
Adesso ho solo voglia di sputare sentenze su quei cd che da oggi in poi mi lasceranno un qualcosa da dire, bella o brutta che sia, e soprattutto senza restrizioni di sorta. Libero spazio alla parola.
Sperando di non nuocere a nessuno, o almeno di non sentirsi rompere i coglioni.